La casa dei sette abbaini by Nathaniel Hawthorne

La casa dei sette abbaini by Nathaniel Hawthorne

autore:Nathaniel Hawthorne
La lingua: ita
Format: epub, mobi
editore: Sansoni
pubblicato: 1972-01-01T00:00:00+00:00


Capitolo dodicesimo

Il dagherrotipista

Non bisogna credere che la vita di una persona di indole alacre come Phoebe si esaurisse fra le mura dell'antico palazzo Pyncheon. Nelle lunghe giornate di solito terminava di accudire a Clifford assai prima del tramonto. L'esistenza quotidiana, per quanto placida all'apparenza, purtuttavia assorbiva a questi tutte le energie vitali. A spossarlo non era la fatica fisica; infatti - se si eccettua qualche saltuario colpo di vanga o una passeggiata per il viottolo dell'orto, oppure, in caso di tempo piovoso, una qualche giravolta in uno stanzone disabitato - era incline a starsene anche troppo quieto, se si parla di qualsiasi lavoro di membra e di muscoli. Ma, o dentro gli covava un fuoco che gli divorava le energie vitali, oppure la noia, che poco a poco avrebbe invaso, con effetto paralizzante, una mente di natura diversa, per Clifford non era tale. Stava probabilmente attraversando uno stadio di seconda crescita e di convalescenza, e traeva di continuo alimento, per spirito e intelletto, da viste, suoni e incidenti che, a gente più esperta del mondo, non dicevano proprio nulla. Come tutto è attività e mutamento per la mente fresca di un bimbo, così forse era anche per una mente passata attraverso una sorta di nuova creazione, dopo un lungo periodo di catalessi.

Quale ne fosse la causa, Clifford soleva ritirarsi a riposare, affatto spossato, che ancora i raggi del sole filtravano, dileguandosi, dalla tenda della finestra o si proiettavano con tardo splendore sulla parete della camera. E così, mentre egli, come altri bambini, si addormentava di buon'ora, per sognare della fanciullezza, Phoebe poteva dar libero corso alle proprie inclinazioni per il resto del giorno e della serata.

Anche un carattere così poco morbosamente influenzabile come quello di Phoebe aveva bisogno di una tale libertà per tenersi in salute. L'antica casa, l'abbiamo già detto, aveva le pareti tarlate e ammuffite; non era salutare respirare solo quell'atmosfera. Hepzibah, seppure riscattata dalle sue doti preziose, s'era ridotta a una sorta di mentecatta dopo essersi carcerata così a lungo in un medesimo luogo, senz'altra compagnia che un'unica filza di idee, un affetto dominante e un fiero senso d'ingiustizia. Clifford, il lettore potrà forse immaginarlo, era troppo snervato per condizionare moralmente i propri simili, per quanto stretti ed esclusivi i loro rapporti con lui. Ma l'attrazione, o magnetismo, fra gli esseri umani è cosa più sottile e universale di quanto si creda; essa esiste, in effetti, in diverse classi di vita organizzata e si comunica vibrando dall'una all'altra. Un fiore, per esempio, come Phoebe medesima osservò, cominciava sempre a languire prima nelle mani di Clifford, o di Hepzibah, che nelle sue; e, per lo stesso principio, era giocoforza che la prospera fanciulla, una volta distillata tutta la propria quotidiana esistenza in florido effluvio per i due spiriti malati, invece d'esser portata su un petto più giovane e felice, prendesse a languire e appassire assai prima. Se non si fosse di quando in quando abbandonata ai propri vivaci impulsi andando a respirare aria di campagna nei sobborghi o



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